Metà novembre 2008, campagna intorno a Pecs (Ungheria). Notte.
Fa freddo, nel vecchio capannone di fianco alla cascina. Fa tanto freddo, ma quello che colpisce è l’odore. Dentro uno degli scatoloni di cartone, allineati sul pavimento sporco, una giovane mamma si lamenta piano. E’ sfinita, non solo per il recente, ennesimo parto, ma soprattutto perché ha avuto poco da mangiare. Non ha quasi più latte, e cerca di calmare leccandoli i tre piccoli che cercano disperatamente calore e nutrimento. Gli altri quattro hanno smesso di muoversi già da un po’, e stanno diventando rigidi. Tutto intorno, sotto il tetto di lamiera, si sente uggiolare sommessamente nel buio. La giovane mamma non è da sola, ce ne sono molte altre come lei.
Metà dicembre 2008, soggiorno di un appartamento signorile nel centro di una grande città del nord Italia. Pomeriggio.
La bambina saltella e ride felice, non sta più nella pelle. Conterà i giorni, da adesso. Il padre la guarda sorridendo, e la gioia per quello che vede gli fa dimenticare i dubbi e le preoccupazioni. Certo, sarà un impegno che coinvolgerà tutta la famiglia, pensa. E gli sembra già di sentire le lamentele della moglie, per il pelo sui tappeti, per qualche cosa di rosicchiato. Ma piacerà a tutti, ne è sicuro, e comunque basta guardare il modo in cui brillano gli occhi della piccola, per capire che ne vale la pena. Tra l’altro, ha concluso un ottimo affare: a quel bel negozio di animali sotto casa, quello dove tanti bambini spiaccicano il naso sulle vetrine per vedere meglio, arriveranno i cuccioli giusto per Natale. Quella razza così carina, non gli viene in mente il nome, quei batuffoli che si vedono anche nella pubblicità. Ne ha prenotato uno a quasi metà prezzo rispetto a quello dell’allevamento dove aveva telefonato prima, e che oltre che caro era pure scomodo da raggiungere perché ci voleva un’ora e mezza di macchina. Meglio di così.
22 dicembre 2008, zona dell’ex confine Italo-Sloveno, sull’altipiano del Carso, sopra Trieste. Prime luci dell’alba.
L’autostrada è semideserta, e l’autotreno corre veloce. L’uomo al volante, che quel viaggio lo ha fatto molte volte, pensa che è incredibile essere già in Italia. Poche ore ancora, e farà la consegna. Passare per Maribor e Ljubljana, in modo da evitare la Croazia, allunga un po’ il giro, in effetti. Ma la ricompensa per il tempo perso è l’assenza di frontiere, e di controlli doganali. Visto il carico che trasporta, è decisamente meglio così. Certo, le carte sanitarie e i documenti, a prima vista, potrebbero passare per buoni, ma una verifica approfondita farebbe venire fuori problemi seri. Soprattutto perché, durante l’ultima sosta, ha dato un’occhiata dentro il cassone, e si è reso conto che i guaiti e i lamenti sono molto calati di intensità. I tranquillanti hanno fatto effetto, sicuramente, però tra i mucchi pulsanti di esserini pelosi, ammassati in gabbie che riempiono fino al soffitto il gelido vano merci, tanti sono troppo immobili per essere semplicemente addormentati. Spiegare il motivo per cui sta trasportando decine di piccoli cadaveri sarebbe difficile. Scuotendo la testa, spera solamente che non siano più della metà come l’ultima volta. La sua percentuale calerebbe parecchio.
Vigilia di Natale, magazzino sul retro di un pet-shop, centro di una grande città del nord Italia. Mattina.
I due uomini sorridono soddisfatti. Uno indossa un camice, e ha appena finito di fare numerose iniezioni. Dosi massicce di gammaglobuline e cortisone, per lo più. E’ un veterinario, e procurarsi i farmaci per lui non è un problema. Guarda l’altro, che sta sistemando i cuccioli in vetrina. Ha fatto un buon lavoro, sono vispi e saltellano giocando tra loro. Saranno irresistibili, e per qualche giorno reggeranno tranquillamente. Peccato per quello, già pagato al trasportatore, che ha avuto la crisi di convulsioni e diarrea emorragica proprio l’ultima notte. D’altronde, a poco più di trenta giorni di vita, il sistema immunitario è quello che è. Ma pazienza, erano poche decine di euro, e comunque meglio che sia morto nella sua gabbietta sul retro. Fosse stato male mentre era in vetrina, avrebbe spruzzato sangue dappertutto. Con quelli che verranno venduti sarà comunque realizzato un guadagno esponenzialmente maggiore della spesa. Si congeda dall’altro uomo, che ha molto da fare. Oggi ne consegnerà parecchi, e incasserà tanto denaro. Tra gli altri, nel pomeriggio, ha appuntamento con un signore molto simpatico che ha una meravigliosa bambina bionda, e che vive lì vicino.
Fine dicembre 2008, una cameretta colorata di un appartamento signorile nel centro di una grande città del nord Italia. Sera.
La bambina sta gridando. Grida con tutte le sue forze, uno strillo lacerante interrotto solo a tratti dai singhiozzi. E’ sporca di sangue, come gran parte del pavimento vicino alla cuccia. I genitori cercano di calmarla, abbracciandola, ma sono molto scossi anche loro. Il cucciolo ha smesso da poco di contorcersi dal dolore, e di guaire forte. Adesso è fermo, e non respira più. Le violente scariche di vomito, e l’emorragia, almeno sono finite. Nei giorni precedenti, quando aveva cominciato a stare male, il veterinario del negozio di animali era irreperibile, così come il gestore. Chiuso per ferie. Nella clinica dove si erano precipitati erano stati effettuati esami, e somministrati farmaci. Stavano per portarcelo nuovamente la mattina dopo, per tentare un’ultima disperata terapia, ma ormai è troppo tardi. Sotto choc, la bambina passa lo sguardo, gli occhi sbarrati e spenti, dal corpicino ai suoi piedi alle luci intermittenti dell’albero di Natale nella stanza accanto. Il suo pianto si fa più debole, senza smettere, e assomiglia sempre di più al tenue lamento di una cagnolina sfinita, magra e tremante che sta in una scatola di cartone, mille chilometri più a est. Dove fa freddo. Tanto freddo.
Oggi.
Che cosa è l’orrore? Difficile dare una risposta. In un tempo come quello che stiamo attraversando, probabilmente ce n’è troppo, intorno a noi, perché sia possibile attribuirgli dei connotati definiti. L’orrore ha mille facce, mille volti spesso rassicuranti dietro i quali nasconde bassezze e abiezioni inimmaginabili. Per quello che può valere, cercheremo di svelarne almeno uno, di renderlo il più evidente possibile, nella speranza che la consapevolezza possa divenire uno strumento di difesa per coloro che potrebbero rischiare di incontrarlo.
Non si vede come sia possibile definire senza utilizzare termini come “orrore” e “crudeltà” un traffico di esseri viventi, nati da pochissimo, indifesi e deboli, la cui convenienza viene freddamente e vigliaccamente calcolata sui sentimenti e sulle emozioni della gente. Traffico che in gran parte dei casi vede come conclusione malattie terribili e morti atroci, di cuccioli troppo piccoli, e traumi psicologici pesanti, spesso subiti da bambini.
Storie spaventose, come quella che abbiamo raccontato, sono già successe, succedono, e succederanno, tante volte. Proviamo almeno a informare, a spiegare, a far conoscere. Se grazie a questo se ne potrà evitare anche una sola, ne sarà valsa la pena.
Il traffico di cuccioli dai cosiddetti “canifici dell’est” è una prassi ormai datata, che prospera nelle pieghe di una normativa insufficiente e di sanzioni inadeguate. La facilità con cui è possibile falsificare documenti e autorizzazioni sanitarie, e la carenza di controlli del dopo-Schengen, fa sì che questo vergognoso mercato nero di piccole vite sia e rimanga ricco e fiorente. Ungheria, Romania e Polonia sono i “produttori” maggiori.
Il meccanismo è agghiacciante nella sua efficienza. Cani più o meno di razza, selezionati approssimativamente, vengono utilizzati come stalloni e fattrici, trascorrendo l’intera esistenza in gabbie, malnutriti e isolati. Le cagne vengono fatte partorire a ogni calore, fino allo sfinimento, e i cuccioli vengono prelevati a circa trenta giorni di vita, ossia non appena necessitano di essere svezzati. Questo comporterebbe un costo per i cagnari (impossibile definire “allevatori” individui del genere), quindi i piccoli – col sistema immunitario ancora pressoché inesistente – vengono inviati con sistemi di trasporto disumani, senza la minima cura igienico-sanitaria, ai centri di distribuzione italiani, che forniscono i negozi. Dove vengono somministrati farmaci “dopanti” che permettono un periodo di apparente vitalità, indispensabile per la vendita. Eventuali vaccini, prima dei due mesi, sono inefficaci. La percentuale di cagnolini che muoiono durante i viaggi è di circa il 50%, secondo l’Ordine dei veterinari di Milano. Il numero degli animali importati così è spaventoso. Quelli che sopravvivono, sono nel migliore dei casi traumatizzati emotivamente, e tanto provati fisicamente, da avere la quasi certezza di crescere con problemi comportamentali e di salute di difficile gestione. Molte altre volte, invece, sviluppano in brevissimo tempo patologie virali di estrema gravità, come il cimurro e la gastroenterite da parvovirus, e sono destinati a morire dopo agonie atroci - a casa degli acquirenti.
Sette anni fa, questa terribile esperienza è capitata a una giovane milanese, Simona Mosconi, che di professione fa l’avvocato, e che ha deciso di provare ad andare fino in fondo. Nel ringraziarla della disponibilità, e della collaborazione nella stesura di questo articolo, proviamo a farci spiegare da lei la situazione, e cosa è possibile fare se si rimane vittime di questi vergognosi raggiri.
Avvocato Mosconi, nel 2001 Lei ha avuto il merito di aver promosso la prima azione legale importante, raccogliendo decine di denunce, contro l’importazione e la vendita di cuccioli dall’est. Come è andata a finire in sede giudiziale?
“In effetti la forza di quella denuncia è stato il numero di persone coinvolte. A tutte era in sostanza accaduto di acquistare nello stesso negozio un cane garantito come italiano, che nell’arco di qualche giorno, nel caso migliore di qualche settimana, era deceduto. Di questi cagnolini la maggior parte era stata acquistata, dal negozio di Milano, in un allevamento di Reggio Emilia che aveva venduto i cani come cani di importazione avendone peraltro le autorizzazioni. Quello che spaventa è il margine di guadagno: cuccioli acquistati all’est a 20-40,00 euro dall’importatore-finto allevatore vengono venduti a 70,00-100,00 euro al negoziante, che li rivende a 700,00-1000,00 euro al cliente finale, noi. In quel caso avevamo ottenuto, proprio in virtù del gran numero dei casi un sequestro preventivo sanitario dell’esercizio commerciale che è una misura che l’ASL adotta obbligatoriamente ove riceva denunce e comunicazioni dai veterinari, o dai privati, del fatto che dallo stesso esercizio/allevamento provengono cagnolini con malattie virali, in quanto è proprio una misura igienico-sanitaria. Questo fu un gran risultato. Poi è iniziato il processo che dal 2001 si è concluso nel 2007, la sentenza è di assoluzione, per carenza di prove, ma non ho ancora visto le motivazioni. Senz’altro però tutto ciò è servito credo a far emergere il problema , la possibilità di portare avanti la denuncia, e di farne un processo penale.”
Ci sono stati riscontri a livello legislativo, oppure ci sono speranze di una “stretta” nei controlli e nelle regole per il futuro?
“Riscontri a livello legislativo proprio sul punto dell’importazione non mi risulta ve ne siano stati, senz’altro è cosa positiva che sia stato accertato che i cuccioli debbano viaggiare solo al compimento del terzo mese, anche se poi questo viene risolto falsificando la data di nascita sul libretto.”
Sono ancora numerosi i negozi, e soprattutto i siti internet, che vendono cuccioli “di tutte le razze”, con tempistiche di consegna troppo rapide per non alimentare dubbi sulla liceità della provenienza e sulla cura degli animali. E se ci sono, significa che il “business” è ancora attivo e profittevole. Possibile che non si riesca a intervenire? Come vede la situazione attuale?
“Purtroppo la situazione è quella di un mercato nero ancora vivissimo, e per di più facilitato dal diffondersi di Internet; a tale proposito sconsiglio vivamente l’acquisto on-line sul sito del presunto allevamento, o anche quelli di privati su subito.it o italypet, perché non vi è alcuna garanzia sulla provenienza del cucciolo e sull’identità del venditore. Il quale si approfitta dell’inesperienza dell’acquirente, e dell’effetto emotivo del “cucciolo in braccio”: in alcuni casi il cagnolino così venduto è stato portato a casa e nel giro di 24 ore è morto. Cellulare del venditore staccato, impossibilità di reperirlo.
Purtroppo so che anche nella categoria dei veterinari, che sono i migliori consulenti di tutta questa problematica perché la stanno denunciando da anni, vi è qualche “pecora nera” meno seria che timbra libretti sanitari senza avere neppure visto il cucciolo e questo ovviamente agevola il mercato clandestino.
Sto portando avanti numerosi casi individuali, di privati ai quali è capitato di acquistare un cucciolo tramite Internet, o in finti allevamenti, e sto ottenendo buoni risultati con l’azione civile, forse meno eclatante ma senz’altro più facilmente percorribile.”
Cosa è possibile fare, legalmente, se ci si ritrova in una situazione del genere?
“I mezzi che la legge mette a disposizione per difendersi e per difendere i cani da questa tratta vergognosa ci sono ma alcune volte sono poco efficaci.
Le vie sono due: quella civile e quella penale.
Civilmente si può agire soprattutto prima dell’acquisto utilizzando prudenza e attenzione. Sarebbe auspicabile che tutti acquistassero cuccioli in allevamenti che trattano uno o al massimo due razze, ma mi rendo conto che per ora è un’utopia…quindi vorrei che almeno i possibili acquirenti si tutelassero facendosi mettere per iscritto dall’allevatore o dal commerciante la provenienza esatta del cucciolo e una data orientativa per la consegna del pedigree e verificando l’eventuale attribuzione di un numero di microchip presso l’anagrafe. In ogni caso, leggendo bene le clausole del contratto di vendita. Se c’è un veterinario interno al negozio, o associato ad esso, bisogna farsi consegnare un certificato di buona salute scritto, firmato e timbrato. Se il cane fosse già stato acquistato e si fosse ammalato, inoltre, bisogna ricordare che non è valido alcun obbligo di portare il cane a un certo veterinario. Anche se si fosse firmato un contratto di acquisto che preveda clausole vessatorie di questo tipo, non hanno alcuna validità in caso di emergenza sanitaria.
Un’altra clausola o prassi a cui non soggiacere, è lasciare il cucciolo malato al negozio credendo alle assicurazioni del commerciante “che se ne curerà lui”.
Dopo l’acquisto, se il cane si ammala occorre immediatamente comunicarlo al negoziante mediante raccomandata A/R; inoltre bisogna farsi certificare dal proprio veterinario la causa della morte. E’ anche opportuno, se possibile, far fare al cane un prelievo di sangue al primo segno di malattia, e farlo conservare dal veterinario.
Se si agisce in questo modo e si conserva la documentazione ad hoc, sarà possibile agire civilmente ai sensi dell’art. 1496 cod. civ. per ottenere la restituzione dell’intera cifra o di parte della cifra spesa (questo dipende dall’entità della malattia), e comunque il risarcimento delle spese mediche che spesso sono molto alte.
L’azione penale è più “di impatto”, ma decisamente complessa soprattutto se si trova ad agire un singolo individuo. Può essere promossa sempre nei confronti del commerciante o dell’allevatore se si hanno sufficienti elementi per ipotizzare la truffa o la frode in commercio, laddove sia stata garantita la vendita di un cucciolo di provenienza da allevamento nazionale (quindi con prezzo elevato), mentre è stato consegnato un cucciolo importato. Certo anche in questo caso occorre avere prove documentali del dolo del venditore (difficile da dimostrare), e sperare che il Pubblico Ministero incaricato dell’indagine sia sensibile al problema.
Altro caso più semplice è la denuncia alla Guardia di Finanza del commerciante o allevatore che non rilasci attestazioni di valore fiscale del prezzo percepito.
Anche al pedigree si sta attribuendo un valore giuridico di gran rilievo: vi è giurisprudenza che identifica nel pedigree la carta d’identità del cane e quindi un elemento oggettivamente rilevante nella vendita, e vi sono sentenze per cui l’assenza del pedigree promesso significa che si è venduta una cosa diversa da quella promessa: un grave inadempimento, quindi, che comporta la restituzione di almeno il 50% del prezzo (in alcuni casi anche l’80%). A questo proposito ricordo che è stato truffato (o comunque vi è stata una violazione del contratto di vendita) anche chi ha avuto la fortuna di portarsi a casa un cucciolo sano, o con pochi problemi ma che crescendo si è rilevato ben lontano dallo standard della sua razza. Questo a volte sembra poco importante a chi non ha velleità espositive o riproduttive: ma un cane di simil-razza, o di quasi-razza, si può trovare anche al canile, per di più gratuitamente. Facendo, inoltre, un’ottima azione”
Si avvicina il periodo delle feste Natalizie, e tradizionalmente sarà un momento “a rischio”, in cui molte famiglie potrebbero scegliere di regalarsi un piccolo amico a quattro zampe. A parte i consigli legali, cosa si sente di dire ai nostri lettori, Lei che è stata vittima in prima persona di questi traffici, per evitare che si avverino nuovamente troppe storie terribili come quella che abbiamo raccontato?
“Come detto, la prima precauzione è proprio quella di informarsi bene prima di acquistare un cucciolo; si può telefonare anche per una chiacchierata ad un centro veterinario per farsi suggerire la razza più compatibile con le proprie esigenze e l’allevamento migliore per quella razza. Comunque non bisogna avvicinarsi all’acquisto del cane senza la consapevolezza di quello che si fa. La scelta peggiore è quella di andare a caso sulla razza e sul venditore magari pensando di acquistare un cucciolo italiano, con pedigree, a poche centinaia di euro… il mercato dei cagnolini ha una domanda e un’offerta come ogni altro mercato e vi sono in Italia ottimi allevamenti ai quali rivolgersi, ma che chiederanno – giustamente - un prezzo piuttosto elevato. Se non interessa il pedigree ci si può rivolgere a un veterinario, sanno sempre di qualche cucciolata.”
Grazie all’impegno delle associazioni animaliste, e di persone come l’avvocato Mosconi, si è cominciato a parlare del problema, con qualche timido passaggio sui mass-media. Purtroppo, una buona occasione è stata persa recentemente: un servizio, andato in onda nella trasmissione “Le Iene”, ha definito il traffico “nuovo” (va avanti da molti anni), parlato di “migliaia” di casi (sono decine di migliaia, come minimo), e soprattutto non ha reso chiaro che i cuccioli di razza nei negozi non-vanno-comprati-mai. Perché se sono in un negozio, non vengono da un buon allevamento. Al contrario, è stato fatto sembrare che ci siano negozi affidabili più di altri, che i canifici-lager dell’est non siano responsabili, e - dulcis in fundo - l’unico consiglio al pubblico è stato “assicuratevi che il cucciolo che acquistate sia svezzato”.
Bene che se ne parli, ma l’informazione fatta così rischia di essere più dannosa che altro. Appare chiaro che il metodo più efficace, l’unico, per colpire queste disumane attività è la prevenzione. Lo ripetiamo: nessun allevatore serio, coscienzioso, e amante della razza di cui si occupa (una, al massimo due), utilizza i pet-shop, i siti internet, o le cosiddette – e riprovevoli - “fiere del cucciolo” (che sono state a volte pubblicizzate anche sulle reti Mediaset, che combinazione), per vendere i cagnolini. Mai, nessuno.
E’ da luoghi e iniziative come quelli che passano le sventurate creature dell’est, luoghi che fanno da rete distributiva e commerciale agli spietati speculatori di cui abbiamo parlato. Più in generale, è proprio il commercio di animali vivi, nel momento in cui vengono trattati come oggetti su cui lucrare, che dovrebbe essere oggetto di riflessione etica e magari di azione legislativa. Esporre cuccioli in vetrina, a rotazione, come merce qualunque, è inqualificabile di per sé. Non esiste un modo più o meno accettabile di farlo. In particolare riflettendo sul cinico sfruttamento dell’emotività umana davanti ai proverbiali “batuffoli con gli occhioni”. E sapendo, almeno chi avrà letto queste righe, che molti di questi batuffoli sono dei condannati a morte.
“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”
(Mohandas Karamchand Gandhi)
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